Nei suoi studi lei ha sostenuto che la filosofia politica si dimostra inadeguata rispetto alla sfida posta della «perdita dei confini geografici dell'agire umano» perché non riesce a concettualizzare un ordine sociale nel quale trovino simultaneamente applicazione il principio dello scambio di equivalenti, il principio di redistribuzione e il principio di reciprocità. Non crede che l'attuazione di questi tre principi regolatori richieda un ripensamento radicale del contratto sociale cha da più di mezzo secolo caratterizza le nostre società?
La risposta non può che essere un sì deciso. A mio giudizio, nell'epoca post-industriale, ne la tradizione liberale ne quella solidarista comunitaria sono sufficientemente attrezzate ad affrontare i problemi che oggi caratterizzano le nostre società. Pensiamo ad esempio al conflitto tra identità. Le varie teorie della giustizia ci vengono in aiuto fin tanto che il problema riguarda il possesso o l'accesso a beni e risorse - esempi classici sono la lotta all'ineguaglianza, all'esclusione sociale, all'iniqua redistribuzione del reddito. Ma quando il problema riguarda l'affermazione dell'identità di tipo etnico, religioso, sessuale o culturale esse non ci sono più di alcun aiuto.
Inoltre, è indiscutibile che nelle società europee il baricentro si va spostando sul lato del consumatore e sulla conseguente società low-cost caratterizzata dalla presenza di imprese che riescono ad abbattere i costi di produzione e quindi a diminuire i prezzi dei beni e servizi che offrono riducendo i salari (reali) e le tutele sindacali. Un mutamento che è alla radice di un nuovo conflitto intrapersonale, perché una società low-cost tende a produrre un Welfarelow-cost.
A fronte dei problemi sopraindicati, la sollecitazione che propongo è di dilatare l'orizzonte, configurando un nuovo contratto sociale che contempli un modo di organizzare l'attività economica che, accanto al principio dello scambio di equivalenti e della redistribuzione, faccia spazio al principio di reciprocità. Capace cioè di articolare il discorso economico in modo tale da far diventare la categoria della reciprocità parte integrante del discorso economico. Il principio di reciprocità non deve però essere rimandato al volontariato o essere riferito al terzo settore, come oggi avviene.
Secondo lei è possibile oggi individuare principi condivisibili universalmente sui quali costruire una giustizia sociale condivisa? O piuttosto ritiene che tale impresa sia impraticabile?
La modernità, che si è soliti far nascere con la Rivoluzione Francese, è stata caratterizzata dall'idea che esistessero valori universali indipendenti dalle connotazioni storiche e dai luoghi. Questa è stata la grande intuizione dell'Illuminismo francese, scozzese e italiano - milanese e napoletano in particolare. Le matrici culturali non occidentali, però, hanno fin da subito messo in dubbio che i valori e i diritti umani occidentali fossero universalmente condivisibili, spesso bollando quell'intuizione di occidentalismo. Preso atto del fatto che esistono universi morali estremamente eterogenei, i paesi occidentali hanno provato a stabilire regole procedurali che permettono la convivenza pacifica.
Questa soluzione, fino ad anni recentissimi, ha sortito l'effetto desiderato. Ma al momento attuale versa in crisi, perché è come nascondere la polvere sotto il tappeto. Il problema è, a mio avviso, che o i valori fondamentali esistono o non esistono. Ma se esistono non possiamo relativizzarli in base alle culture o alle identità specifiche perché in tal modo si cade in una contraddizione pragmatica. Come si può uscire da questa difficoltà? La strategia che suggerisco è quella per cui i partecipanti al dialogo interculturale si impegnino a ricavare dai principi fondamentali che ognuno è libero di scegliersi sia i criteri di giudizio sia le direttive d'azione. Se i risultati che discendono dalle direttive d'azione, che a loro volta discendono dai criteri di giudizio, sono auto-contradditori o producono effetti perversi, allora i partecipanti al dialogo devono ammettere che nel loro rispettivo sistema di principi morali fondamentale c'è qualcosa da correggere.
Ritiene che l'attuale architettura istituzionale rappresentata da agenzie internazionali quali la Banca Mondiale il Fondo Monetario Internazionale, e l'Organizzazione Mondiale per il Commercio siano congeniali a un modello di sviluppo socialmente sostenibile?